Vent'anni fa. Si dice spesso: sembra ieri. Per chi quel giorno c'era, suona strano che siano trascorsi vent'anni. Che siano così lontane quelle ore di tristezza, di celebrazioni, di domande. Poco tempo prima, sembrava che Freddie non stesse così male e che l'Aids, magari, lo avrebbe risparmiato. Ma male stava davvero, giudicando dalla quasi assente promozione per l'album "Innuendo", sorta di capolavoro minore destinato a diventare invece disco-testamento. Freddie ci ha lasciato vent'anni fa, e in quel finale di 1991 le televisioni tributarono al leader dei Queen ore ed ore di trasmissioni, di cordoglio, di speciali. Il tutto condito sino alla nausea da un ripetersi incessante di quella "The show must go on" che molti dicevano parlasse della sua fine e che, invece, non ne parlava proprio, visto che, fino all'ultimo, Mercury non aveva nessuna intenzione di morire. Freddie l'estroso, il talento, la voce irripetibile. Freddie il divo, la checca (parole sue), l'estremo. Freddie il dannato, l'istrione, il malato. Freddie sul palco, a Wembley, al Live Aid. Che rimane di lui? Di certo la sua musica e la storia dei Queen che, dopo di lui, mai è proseguita, nonostante i tentativi di Brian May e Roger Taylor (John Deacon, forse capendone l'inutilità, ha rinunciato presto). Rimane quel periodo del 1991, quando in milioni lo scoprirono e si innamorarono del suo talento. Perchè la morte prematura, quando sei divo, ti porta oltre. Ti porta nella storia. E, da vent'anni, Farrokh Bulsara, in arte Freddie Mercury, tra baffetti e canotte, è nella storia. E, come per tanti, ci chiediamo quanto avrebbe potuto ancora dare alla musica. Togliendo, naturalmente, al mito.
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